DOMANI

Poi verranno a dirvi che si è trattato di un errore. Un errore deprecabile, ma comprensibile. Vi chiederanno scusa, "sono cose che possono succedere". Altri diranno che si sarebbe dovuto prevedere, che in un Paese civile certe cose non sono ammissibili. Ma avranno torto. Tutti. Quelli che accuseranno e quelli che chiederanno perdono. Perché così doveva andare, e così è andata. Non sono un fatalista, ma credo che la nostra vita sia già scritta. E le lotte, le disperazioni, le sconfitte, ma anche le vittorie, e i successi, le risate e i pianti, sono tutti là, tracciati nel palmo delle nostre mani, fin da quando noi nasciamo. E dobbiamo riuscire ad afferrare tutto, o almeno il più possibile, per dare il giusto sapore alla nostra vita. Sì, mi piace filosofeggiare. E mi piace leggere. E mi piace anche che i colleghi mi prendano in giro, per questo. Perché mi rispettano. Perché non mi tiro mai indietro. Perché potrei farmi le mie otto ore dietro la scrivania, e invece preferisco stare in macchina. Soprattutto di notte. Soprattutto quando fa caldo, questo caldo così cattivo da confonderti le idee, da bagnarti il cervello e gli occhi. Perché così deve essere. Perché è estate, e perché questa si chiama Napoli.

 

1.

OGGI

Il vicolo è stretto. Stretto e senza marciapiede, naturalmente. Accosto l'auto sulla destra, anche se è inutile: non riuscirà a passare più nessuna macchina, dopo che avrò fermato la mia. 

I motorini, quelli sì. 

Comunque lascio il lampeggiante acceso: la luce blu si riflette sui vetri dei piani alti, ed illumina i bassi aperti, formando ombre grottesche e sinistre. Servirà a tenere lontani i rompiscatole: nessuno, da queste parti, ha intenzione di incontrare poliziotti. Non a quest'ora, comunque. 

Lino fa per scendere. Lo fermo: "Resta dentro, ti dispiace? Non ci metto più di cinque minuti".

Annuisce stancamente. La notte è appena cominciata, e fa caldo, troppo caldo per essere solo giugno. Fortuna che ho la divisa estiva, camicia blu a maniche corte, pantaloni leggeri. Non avrei sopportato la giacca. 

L'odore della morte arriva fin qui. Non il solito odore. Mi passo una mano tra i capelli, scosto la camicia dalla schiena, già zuppa di sudore. La porta del basso è aperta, l'odore è più forte, ora. 

Penso "l'odore", non "il puzzo". 

Sono abituato al puzzo della morte, al suo tanfo, ai cadaveri decomposti e all'odore della cordite. Sono abituato, anche se ho solo trentatré anni, sono abituato al sangue, alle ferite, al dolore, anche al mio. 

Ma l'odore della morte, quello lo odio. 

Due donne mi vedono arrivare. Colgo il loro sguardo smarrito. Solo per un breve istante. Poi forse mi riconoscono. Io no. 

L'odore ora è nauseante. Hanno messo fuori due corone, enormi, ognuna formata da due rami di palma legati con un nastro viola, e sopra un milione di fiori. Leggo la scritta su quella alla destra della porta: "GLI AMICI DEL VICO". Forse "DEL VICOLO", non so, l'ultima parte della fascia è piegata, e non mi va di fermarmi. 

Mi faccio coraggio, prima di entrare. Ci saranno quaranta gradi, dentro. E i fiori sono marci, l'odore ormai prende allo stomaco, è molto più forte del puzzo del cadavere, che ha già cominciato a decomporsi. 

Immobile, lascio che gli occhi si abituino alla penombra. 

Mammona è sul letto matrimoniale, al posto della bambola spagnola. Solo molto più grande. Enorme, come sempre. Le hanno messo un vestito nero, lungo fin sotto le ginocchia. E le calze, nere pure quelle. Non se le sarebbe mai messe, in una notte così calda. Ha le mani giunte sotto il petto enorme, e stringe un rosario. I capelli innaturalmente nerissimi sono sparsi sul cuscino. La luce della quattro candele agli angoli del letto rende il suo volto ancora più terreo. 

"Quanti anni aveva?". Potrebbe essere una delle classiche domande di circostanza. Non la farei, non la farò. Ma mi scopro a non conoscere minimamente la sua età. Per me è stata sempre vecchissima. Eterna. Non nel senso di "per sempre", quanto nel senso di "da sempre". Mammona esisteva da prima della Creazione, certo da prima che i coloni greci approdassero alle pendici del monte Echia. 

So tutto, di Napoli, e non so niente di Mammona. 

Solo che ora è morta. 

Nessuno mi ha salutato, quando sono entrato. Sarà passato un minuto. Mi guardo in giro, e la vedo.

Seduta sul lettino, per l'occasione trasformato in una sorta di divano, con cuscini colorati e un'incongrua copertina rosa. È bellissima. Mi viene quasi da sorridere, ma le circostanze non lo consentono. 

Ha la testa bassa, come se stesse pregando. O piangendo. A dispetto della situazione luttuosa, il suo seno prorompe sotto la maglietta nera. La guardo. I capelli lisci come seta, neri come il carbone, le coprono metà del viso. Non so se avvicinarmi. Forse non si è accorta della mia presenza. Ma sente il mio odore, in mezzo all'effluvio di morte, di caldo e di fiori putrescenti. Alza lo sguardo. 

I nostri occhi si incrociano. Abbiamo una vita alle spalle, vissuta insieme anche se lontani. Uno sguardo può dire tutto. Abbiamo una vita, alle spalle, ed un baratro davanti. Lo sappiamo entrambi. 

Si alza e mi viene incontro. 

"Se n'è andata, Peppe, se n'è andata…", e piange sommessamente. 

Le offro la mia spalla. 

Mi abbraccia, la stringo. 

"È la vita", le dico banalmente. "Tutti dobbiamo morire, prima o poi…". 

Mi vergogno quasi dell'ovvietà delle mie frasi, ma non mi viene altro. 

Lei alza gli occhi, e li fissa nei miei. Il silenzio nella stanza diventa ancora più innaturale. Mi afferra la mano, e mi trascina fuori, nel vicolo. 

Cerco di respirare, ma l'aria fuori è ancora più calda. 

La seguo, pochi passi fuori dal basso. 

"Non doveva morire, Peppe. Non ora". 

Ha una voce dura, tremendamente seria. La guardo e non capisco. 

"Che vuoi dire?". 

"L'hanno uccisa. E tu devi scoprire chi è stato". 

È il dolore, penso. La fa sragionare. Non so se assecondarla o riportarla alla realtà. Ma poi i nostri occhi si incrociano di nuovo, e capisco che dice la verità. O almeno ci crede. 

"Giuramelo, Peppe! Giurami che lo trovi, il bastardo che ha ucciso Mammona!". 

Le stringo le mani, come facevamo da bambini. 

"T''o ggiuro, Tonino, te lo giuro".

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