PROLOGO

«Non morire!» avrebbe voluto dirle, e le lacrime se le sentiva nella gola, «perdonami, non è troppo tardi» le avrebbe urlato se solo fosse riuscito a farsi sentire, se le sue mani non fossero state così rosse di sangue, se non fosse dovuto scappare via, lontano, nel buio, nel freddo, nel vuoto.

1.

26 Dicembre 1972, ore 11,20

«Sì, mamma, arrivo!». 

Celeste si affrettò per le scale, passando di sfuggita una mano sul calorifero per accertarsi che la temperatura fosse quella giusta. Il cielo si era all’improvviso coperto, il vento era calato e l’aria livida e immobile non prometteva niente di buono. Il pianerottolo era buio. Aprì la porta della stanza in fondo; il solito odore di vecchiaia e malattia, sapone e medicinali, le si insinuò nelle narici. 

«Cosa c’è?». 

«Dov’è Sandrino?». 

«Fuori, a giocare». 

«Sei pazza? Con questo freddo?». 

Celeste si morse la lingua. Perché era stata così stupida un’altra volta? Avrebbe potuto dire a sua madre che Sandrino stava leggendo, o che stava giocando in casa, e invece era caduta un’altra volta nell’errore di dirle la verità. E ora la vecchia l’avrebbe tormentata, e le avrebbe ricordato che lei non sapeva fare la mamma, che un bambino di sette anni è un esserino delicato, che ai suoi tempi l’educazione era tutta un’altra cosa… 

Adua Piovesan parlava, e Celeste la guardava in silenzio. Le parole le passavano attraverso: vedeva quel rimasuglio di donna in un letto spropositato, con i quattro cuscini dietro la testa e lo scialle rosa sulle spalle, e la immaginava morta. 

«... e aggiustami un po’ questi cuscini!». 

«Sì, mamma» rispose Celeste meccanicamente. «Vuoi qualcos’altro?». 

«No, vattene ora. E mandami Sandrino». 

Sospirò. Era stanca, non solo fisicamente. 

Sentì lo squillo del telefono mentre scendeva le scale. Raggiunse pigramente l’apparecchio, tanto non era per lei, non era mai per lei. «Sì? Ah, è lei... No, guardi, non mi interessa più, ho cambiato idea, non sarebbe una soluzione. Come? No, mi creda, non sarebbe il caso... Sì, la ringrazio, veramente molto gentile, ma non credo... D’accordo, grazie, forse un’altra volta, sì, certo, arrivederci». 

Riattaccò stancamente il ricevitore: quando era per lei erano solo seccature. 

«Mamma, posso disegnare? Mi dai un foglio?». 

Sandrino era rientrato, aveva le guance rosse per il freddo. Era felice, avrebbe voluto che le vacanze di Natale non finissero mai. 

«Mamma? Mi senti?» ora era un po’ imbronciato, reclamava attenzione. Tutti reclamavano sempre attenzione da lei. Lo guardò. Quando assumeva quell’aria seriosa era proprio uguale a suo padre.

 «Vai su dalla nonna, ti vuole vedere». 

«Uffa, ma io voglio disegnare, ti prego, mamma!». 

«Disegnerai dopo. Vai!». 

Sandrino ubbidì di malavoglia. Lei si avviò verso la cucina. La radio era accesa, zia Giustina era intenta a cucinare. 

«Celeste! Mi hai spaventato, entri sempre come un fantasma... Vuoi qualcosa?». 

«Solo un bicchiere d’acqua. Cosa stai preparando?». 

«Lenticchie. Contengono ferro, a Sandrino fanno bene, e poi gli piacciono tanto» disse quasi per scusarsi. «Giusto?». 

Non le rispose. Aveva lo sguardo fisso sulla radio. La voce gracchiava: “... temperatura in ulteriore diminuzione. Nelle prossime ore la situazione dovrebbe peggiorare, con…   

* * * 

…probabile tempesta di neve. È consigliabile non mettersi in viaggio”. 

«Franca! Hai sentito? Niente viaggio, per capodanno!». 

Primo Cagnola esplose in una fragorosa risata. Sua moglie non si girò nemmeno a guardarlo. «Spiritoso!» disse continuando a cucinare. «Perché, gli altri anni ci siamo mossi, per il capodanno? Certo però che le promesse le sapevi fare, quando pensavi solo a volermi portare a letto: Venezia di qua, Genova di là, Parigi!». 

Primo guardò sua moglie da sopra la spalla. Quella sua voce lamentosa e accusatrice, Dio! Non riusciva proprio a sopportarla... 

«E già, non mi rispondi neanche. A cosa servo, ormai? Ti andavo bene prima, per le tue porcherie… E forse anche quando eri convinto di avermi gonfiato la pancia con un figlio tuo!». 

«Donna, non rompere! Vuoi viaggiare? Viaggia! Io sto bene qui, e non mi muovo! Tu piuttosto, sta’ attenta a come parli!». 

La sua voce era bassa e tranquilla, ma Franca lo conosceva bene: alzò le spalle, e tacque. Non c’era nulla di rassicurante in Primo, nemmeno nei momenti buoni. I suoi quarantadue anni, uniti al suo metro e novanta di muscoli grezzi, incutevano timore e rispetto, e nessuno avrebbe osato parlare male di lui, davanti o dietro le sue spalle. 

Solo sua moglie Franca, qualche volta. E questa non era una di quelle. Lo guardò uscire dalla cucina e scosse la testa, poi la chinò sul pentolone che sobbolliva. Un giorno o l’altro ci avrebbe pensato lei.

«Zia Franca, posso mettere la tavola?». 

La voce della nipote la riscosse; Giselda era sulla soglia e la guardava. Quella maledetta ragazza sembrava essere dappertutto. 

«Sì, e mi raccomando, cerca di non rompere niente». 

«Sta’ tranquilla, zia!». 

«No, non sono tranquilla. Affatto! Mi hai già rotto due piatti, il prossimo te lo faccio pagare, anzi ti faccio pagare tutto il servizio». 

«Va bene, zia». 

Giselda uscì dalla cucina dopo aver preso i piatti dalla credenza. Primo era in sala da pranzo; le si avvicinò canticchiando. 

«Osteria numero quattro, la Giselda ha rotto un piatto...». 

Lei cominciò a ridacchiare sottovoce. 

« ...per non farselo vedere, lo nasconde nel sedere!» e le appoggiò una mano sulla natica soda. Lei gettò un’occhiata dietro le spalle, per essere certa di essere fuori della visuale della zia, poi lo lasciò continuare, inarcando la schiena.

* * *

Celeste aveva gli occhi fissi nel disegno. Cercava di capirne il significato. O forse voleva attribuire a quello strano fungo incorniciato, un po’ bianco ed un po’ rosso, più significati di quanti in realtà non avesse. Si riscosse, andò nella camera di Sandrino e lo ripose insieme agli altri, nella cartelletta dove conservava i disegni di suo figlio. Fuori aveva cominciato a nevicare, ed era già buio. Suo marito aveva indossato il cappotto. 

«Dove vai? Sta nevicando». 

«A prendere un po’ di legna, voglio accendere il camino». 

«Abbiamo il riscaldamento, o te ne sei dimenticato?». 

«Va bene, abbiamo il riscaldamento, e allora? Voglio vedere il fuoco, e sentire la legna crepitare nel camino, è vietato, forse?». 

«Giampiero, tu non vai a prendere la legna». 

«Dio santo, Cristo d’un Dio, non ricominciare un’altra volta, ti prego! Dove diavolo vuoi che vada, con questo tempo da lupi? Ma già, figuriamoci, chissà cosa starai pensando, forse che la mia amante mi stia aspettando nella legnaia, vero? E piuttosto cosa dovrei dire io, delle tue passeggiate notturne, con la scusa della tua insonnia, che tutto il vicinato ci ride dietro?». 

Celeste incominciò a piangere. In silenzio, senza singhiozzi. Le lacrime le scorrevano lungo le guance senza che potesse fermarle. Giampiero si voltò ed infilò la porta, sbattendosela alle spalle. Un soffio gelato misto a qualche fiocco di neve entrò nella casa. Lei rimase lì, immobile. 

Dietro di lei, dalla porta della cucina, zia Giustina aveva osservato tutta la scena. 

Scosse la testa e tornò a rimestare tra le pentole. Bastava che Celeste e suo marito si incrociassero che inevitabilmente succedeva qualcosa, pensò; certo era sempre lei a provocarlo, sempre Celeste: e chi poteva resisterle vicino, con il caratteraccio che si ritrovava? Oddio, non che lui fosse un santo, però c’è un limite a quello che un uomo può sopportare, si disse. 

Si sedette e appoggiò i gomiti sul piano di marmo del tavolo; i piedi le facevano di nuovo male. 

Si guardò le gambe, avvolte nelle grosse calze di lana grigia, e sospirò. Ecco che Sandrino iniziava a piangere: si chiese se fosse il caso di affacciarsi di là, ma sapeva di essere inutile, e probabilmente nemmeno gradita. 

Sì, era solo una vecchia inutile. Eppure c’era stato un tempo in cui tutto era stato diverso, solo pochi anni prima. Continuò a girare il cucchiaio di legno, sognando ad occhi aperti. 

* * * 

Celeste non oppose resistenza al coltello. Lasciò che le squarciasse il ventre. Sentì il freddo della lama ed il caldo del sangue che sgorgava dalle sue viscere, e in pochi istanti la vita scorrerle fuori, e ne fu quasi felice. 

Poi la neve cadde a ricoprire il suo corpo ancora caldo.


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